Donna australiana accusa il suo ex-Master di maltrattamenti e riduzione in schiavitù

Felicity Bourke ha raccontato alla trasmissione Four Corners i dettagli dei suoi anni passati con l'uomo, tra relazione BDSM ed abusi ripetuti. A seguito del servizio televisivo, sono iniziate le indagini e l'uomo, James Davis, è stato arrestato.

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James Davis e le sue schiave

La storia che è emersa in queste ultime settimane sui presunti abusi perpetrati da James Davis ai danni di Felicity Bourke ha davvero dell’incredibile. Lo scandalo è emerso dopo che i reporter Elise Worthington e Kyle Taylor della storica trasmissione TV australiana “Four Corner” hanno intervistato la Bourke e altre partner di Davis. L’inchiesta ha richiesto oltre 5 mesi per arrivare a mettere in onda di un servizio dal titolo “Enslaved” (traducibile “In schiavitù”), visibile sul sito della ABC.

Le informazioni raccolte, centinaia di fotografie, video e documenti, nonché la testimonianza di una dozzina di donne, sono state man mano messe a disposizione delle autorità locali. Il risultato, per ora, è che l’uomo è stato arrestato nei giorni scorsi e deve fronteggiare tre accuse per aver ridotto una persona in schiavitù, possesso intenzionale di una schiava e per aver fatto sì che una persona entrasse o rimanesse in schiavitù.

Felicity Bourke (Four Corners: Jack Fisher)

La relazione della Bourke inizia come tante: lei giovane (21 anni) che si sposta nella grande città e conosce l’ex soldato, pieno di fascino. Ma il sogno si trasforma in incubo nel giro di pochi mesi e dura per i tre anni successivi. L’emittente ABC, ha riportato in parte la sua intervista in un articolo sul suo sito.

Vorrei cercare di analizzare la cosa nel modo più neutrale possibile, ma non è facile. Da un lato si tende istintivamente a supportare emotivamente una vittima; dall’altro ci si rende conto che un’intervista rappresenta solo un lato della medaglia e che spetterà poi ai giudici emettere una sentenza.

Il fatto che la polizia federale australiana abbia deciso di procedere con un arresto fa pensare che le prove presentate siano sufficienti ad un’incriminazione. Ci sono sicuramente dei fatti incontestabili che sono stati resi noti da questa inchiesta.

James Davis alias Master James

Innanzitutto va detto che Davis ha precedenti storie di abuso sulle donne. A testimoniarlo anche il fatto che l’uomo era stato escluso da alcuni eventi BDSM per aver aggredito fisicamente alcune giovani donne. Una circostanza confermata da diversi altri membri della comunità locale.

In secondo luogo, la famiglia e in particolare la madre avevano in qualche modo percepito i segnali di una relazione tossica, ma non hanno impedito la relazione tra Davis e la figlia.

Riuscire a capire dove tracciare con certezza il confine tra relazione BDSM (seppur estrema come un TPE) e abuso, basandosi solo sul racconto fatto nell’intervista è difficile. Ci sono diversi passaggi in cui quello che viene descritto mi ha fatto pensare “ok, e dove sarebbe il problema, esattamente?”.

Cose come il dover portare un collare, avere dei rituali o dei protocolli, avere dei compiti o mansioni come parte del proprio ruolo, tenere un diario giornaliero, le punizioni come parte di una disciplina o persino il tatuaggio dello slave number, non sono di per sè cose che qualificano un abuso. Anzi… per molti BDSMer sono cose normali o desiderabili. Come ho detto più volte, la distinzione tra BDSM e abuso spesso non è nel “cosa”, ma nel “come”.

Il contesto in cui avvengono determinate azioni ha una rilevanza fondamentale. E’ proprio qui che le persone al di fuori del mondo BDSM fanno fatica a decidere dove tracciare una linea di distinzione. Ecco quindi commenti del tipo “io non farei mai una cosa del genere” o “è sbagliato che una donna si faccia fare questo o quest’altro”. Inevitabilmente si tratta di una forma di kink shaming che i media dovrebbero evitare.

Il tatuaggio con lo slave number che Felicity ha poi cercato di mascherare coprendolo con un altro disegno

L’episodio del tatuaggio con lo slave number, se fatto consensualmente, non è una cosa insolita. Per chi non lo sapesse, lo slave number è un numero univoco per identificare un* slave, che può essere creato tramite il sito Slaveregistry.com. Ci sono migliaia di persone che si sono fatte quel tipo di tatuaggio come simbolo di appartenenza e che lo mostrano con orgoglio.

Il problema sorge quando questo gesto viene imposto o fatto in un modo non consensuale, creando volutamente qualcosa che può creare disagio. Nel caso di Felicity, lei sostiene di non aver avuto modo di decidere il posto o la dimensione di quel tatuaggio. Alla fine della relazione, quel simbolo non era più un ricordo positivo e sentì la necessità di cancellarlo. Il mondo è pieno di gente che si tatua il nome del partner e poi corre ai ripari coprendolo una volta che la relazione è finita. Ma in questo caso si percepisce che la scelta non fosse qualcosa di completamente consensuale.

Ci sono sicuramente delle zone grigie, in cui non ho elementi sufficienti per poter capire se quella cosa specifica sia o no un abuso. Ad esempio, nell’intervista si racconta di sex party in cui le donne vestivano in intimo, con una benda sugli occhi e avevano un numero scritto sulla loro spalla o schiena con il quale venivano identificate e chiamate. Eventi simili avvengono un po’ ovunque e si chiamano CMNF (Clothed Male Naked Female, uomini vestiti, donne nude).

L’intervista mette l’accento sul fatto che le donne non sapessero con chi stavano facendo sesso e che non potessero sapere/capire sul momento se venivano usate o no delle protezioni. Presentata in questo modo la scena può essere interpretata in due modi:

Interpretazione come scena BDSM. Il Master di ogni slave (nel caso di coppie M/s) o l’organizzatore del party (nel caso di schiave non in una relazione) controlla che vengano rispettati i criteri di sicurezza, l’uso di preservativi o che, prima dell’evento stesso, vengano condivisi esami medici recenti (degli uomini e donne presenti) nel caso si voglia permettere rapporti non protetti. In questo caso le schiave hanno semplicemente scelto di delegare ad altri il compito di controllare e verificare questi aspetti durante l’evento.

Interpretazione come abuso. A nessuno importa e nessuno controlla se gli uomini usano i preservativi o se i partecipanti che fanno sesso non protetto hanno o meno malattie sessualmente trasmissibili. Da notare che il rischio di trasmissione di malattie è bilaterale, quindi il fare sesso non protetto espone a rischio di infezioni sia la donna che l’uomo (anche se con percentuali di rischio e conseguenze diverse, per alcuni casi).

Ecco che quindi, almeno su questo caso, bisognerebbe capire meglio quale sia il reale contesto. Per ora, i dati a disposizione non sono sufficienti. E come questa, ci sono altre occasioni in cui il dubbio rimane.

Ma il numero di situazioni borderline che ad un BDSMer fanno sollevare ben più di un sopracciglio sono davvero tante ed è inutile ricopiarle qui integralmente, ma vanno dalle percosse allo sfruttamento della prostituzione. Basta leggere l’articolo originale per capire che le red flag sono davvero numerose.

Perchè riflettere su questa storia?

La mia riflessione quindi riguarda la vicenda da un punto di vista leggermente diverso. Non voglio parlare degli aspetti legali, ma di come questa cosa si relazioni alla Comunità BDSM e ad una società che deve venire a patti con queste situazioni.

Ho già detto che la comunità BDSM locale aveva già in qualche modo reagito e preso le distanze da James Davis. E’ chiaro che questo non è sufficiente, soprattutto perchè allontanare l’orco non aiuta automaticamente le vittime, anzi rischia di spingerle verso un isolamento ancora maggiore. I gruppi, simili a sette, difficilmente fanno trapelare informazioni e richieste d’aiuto all’esterno. Quindi si, alcunii club BDSM avevano bannato James Davis, ma ha potuto comunque continuare il suo stile di vita fondamentalmente indisturbato. In parte grazie ad internet e in parte grazie al fatto che, in comunità grandi, è possibile sviluppare delle tecniche di “riverginizzazione”. Basta spostarsi in altri gruppi, cambiare città o anche solo nick e poter trovare nuove vittime soprattutto tra chi si è appena avvicinato a questo mondo.

Anche qui in Italia abbiamo avuto esempi di personaggi banditi da più eventi, ma che continuano ad avere seguito come se niente fosse (basta leggere qui il caso più eclatante che riguarda MaestroBD).

Davis, conosciuto online come Master James, era anche molto popolare al di fuori dei confini nazionali. Era molto attivo come blogger e fotografo e questo, nell’alveo dei social network moderni, costituiva un mezzo per ottenere popolarità. Ma la popolarità, la storia ci insegna, non dovrebbe mai essere presa automaticamente come sinonimo di correttezza. Chi conosce solo l’aspetto esteriore di una personalità narcisistica finisce per esserne affascinato. Davis aveva sicuramente saputo creare intorno a sè un culto della sua persona. Usava le foto patinate fatte insieme alle sue slave come modo per stimolare in altri l’invidia per uno stile di vita solo apparentemente perfetto.

Le foto e il modo di rappresentare il proprio lifestile strizzavano l’occhio a quell’approccio romanzato del BDSM (che varia dai peggiori romanzi rosa, alla trilogia di 50 sfumature, per arrivare ai film come 365 giorni o all’allure dei romanzi di Gor). Chi era all’esterno della cerchia della setta poteva vedere solo ciò che l’uomo voleva far vedere, ovvero messaggi di grande armonia, felicità, equilibrio. C’era un grande impegno per rappresentare tutto come perfetto.

James Davis con alcuni invitati ai suoi party
James Davis, alias Master James, al centro, circondato dalle sue schiave e da altre coppie durante uno dei suoi sex party

La percezione era di un uomo e di donne felici di vivere insieme in un rapporto BDSM poliamoroso, in cui la disciplina veniva esercitata e subita consensualmente, in cui si poteva vivere le proprie scelte senza vergogna e senza nascondersi (addirittura Davis aveva provato a fare una raccolta fondi per poter iniziare una sorta di reality sulla vita all’interno della sua family). Tutte cose che possono sicuramente avere una qualche forma di appeal per il grande pubblico. Ma si tratta puramente di marketing, di vendere e di vendersi sfruttando proprio i desideri e i bisogni che gli altri hanno.

Anche su un sito come Fetlife, Master James pubblicava foto e articoli che riscuotevano grande apprezzamento e a cui molte persone mettevano un like. Tutto questo creava una cassa di risonanza che non faceva altro che alimentare il mito dell’uomo stesso ed il suo ego. Se a questo si aggiunge il fatto che molte delle cose scritte erano anche oggettivamente interessanti, ecco che diventava sempre più difficile credere che una persona così in vista potesse essere un pericolo.

Questo meccanismo crea un processo di emulazione e così Davis si è ritrovato attorniato da altri uomini che volevano ricreare le stesse dinamiche. L’uomo è diventato così il vero e proprio capo di una setta. Ha cominciato ad insegnare ad altri la sua filosofia sul “condizionamento psicologico” delle sue schiave “per essere dipendenti al 100%” e il proprio metodo per trovare donne disposte ad essere “sottoposte agli abusi e ai traumi della sindrome di Stoccolma come conseguenze della schiavitù”.

Il ruolo della Comunità e della famiglia

Ma allora, serve avere una Comunità? Assolutamente si. La Comunità di Sidney escludendo James Davis dai suoi eventi ha sicuramente protetto molte persone. Il rovescio della medaglia è che ha dovuto allontanare anche le compagne di Davis rendendo più difficile proteggerle o ascoltare le loro richieste di aiuto. Una Comunità non può certo pensare di salvare tutti, soprattutto chi in quel momento non vuole essere salvato. Ma è in grado di riconoscere gli elementi pericolosi e limitare in qualche modo la loro capacità di far danno.

L’altro punto su cui mi soffermavo leggendo tutta la vicenda è il ruolo della famiglia. O, per lo meno, il ruolo delle famiglie delle persone che sono state parte di questa vicenda.

Stiamo parlando comunque spesso di ragazze giovani, in alcuni casi addirittura di solo 16 o 17 anni. Seppur legalmente ci possa essere l’età del consenso per un rapporto sessuale, il fatto che le famiglie di queste giovani ragazze non si opponessero al trasferimento della figlia a casa di Davis e all’iniziare una relazione BDSM è allarmante.

Non si tratta di sostituire il controllo del Master con il controllo del capofamiglia. Si tratta di assicurarsi che una figlia abbia modo di sviluppare una propria maturità psicologica e sessuale e abbia modo di valutare quali priorità dare alla sua vita prima di intraprendere uno stile di vita così impegnativo.

Guardate un po’ più a fondo. Cercate nelle vostre comunità, nei vostri quartieri e nei vostri cortili i segni del traffico di esseri umani e della schiavitù. Si tratta di un crimine invisibile o nascosto in piena vistaPaula Hudson, sovrintendente della Polizia Federale Australiana

In un caso limite, poi, una ragazza 17enne contattata da James Davis aveva anche problemi di salute mentale e cosa succede? Il giorno dopo l’uscita da un ricovero ospedaliero, lui la prende per portarla a vivere con lui e le sue altre schiave nella loro casa, nella cittadina di Armidale, una zona rurale a più di 250km da Sidney. Genitori, dove eravate? Come avete potuto permetterlo?

Il presunto sfruttamento del sex-working

Il fatto che più di una delle schiave di James Davis avesse iniziato a lavorare come sex-worker deve essere valutato con attenzione. Non è ben chiaro se questo è avvenuto su suggerimento o richiesta di Davis o addirittura se le donne fossero state obbligate a farlo. Tra l’altro sembra che i proventi di tali attività venissero amministrati direttamente dall’uomo e questo è uno dei tanti altri segnali che qualcosa di distorto stava avvenendo comunque alla luce del sole.

Infatti la cosa più agghiacciante di tutte non è che tutte queste cose siano avvenute, ma che siano avvenute alla luce del sole. Questo fa capire che non ci fosse in Davis o nelle persone che frequentavano la sua casa la consapevolezza di fare qualcosa di sbagliato. Nessuno ha percepito alcun segnale di disagio tra le donne. E’ così che le vittime rischiano di diventare complici e carnefici di sè stesse, creando alibi, nascondendo abusi e difendendo pubblicamente i loro aguzzini.

A ridosso dell’udienza che ha negato la libertà su cauzione a James Davis, infatti, le sue partner hanno testimoniato che tutto quello che loro facevano e subivano era consensuale.

Chi ha ragione quindi? Non abbiamo ancora elementi conclusivi e non spetta a noi comunque emettere una sentenza. Siamo di fronte ad un caso di una donna che cerca una vendetta personale contro il suo ex, come sembrano sostenere le altre compagne di Master James, oppure si tratta di un abuser che ha saputo dissimulare per molti anni i suoi misfatti utilizzando la cortina del BDSM? E’ plausibile che una persona adulta e che comunque informata su cosa sia il BDSM non riconosca l’abuso che sta compiendo o quello che sta subendo?

Al momento si sa solo che le prossime udienze sono fissate per maggio 2021. Toccherà aspettare fino ad allora per saperne di più.

La Comunità online internazionale nel frattempo ne sta discutendo proprio alla luce della grande visibilità mediatica che questo soggetto aveva sui social media. La condanna pare unanime e pian piano emergono anche altre persone che dichiarano di aver percepito che sotto tutto questo c’era qualcosa di torbido.