Sadomaso tra finzione e realtà

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finzione e realtà

finzione e realtàNon so se sia un caso, ma mi è capitato nelle ultime settimane di vedere o partecipare a discussioni varie su web in cui venivano fatti riferimenti di vario tipo a quelli che erano libri o film da cui prendere ispirazione o da cui addirittura imparare le basi del BDSM.

Che c’è di strano direte voi, miei cari lettori? Il punto è che molti dei riferimenti fatti non avevano, secondo il mio punto di vista, alcun reale rapporto con il BDSM, eppure quasi nessun altro è sembrato accorgersene, tantomeno preoccuparsene. E’ qualcosa di cui mi ero già occupato parlando di quali erano le scene dei film a cui si ispirava il bondage italiano. Le osservazioni di questi giorni sono dello stesso tipo, solo che coinvolgono un po’ tutte le altre pratiche BDSM.

Facciamo una premessa: non c’è nulla di male a prendere una scena e a fantasticare di ricrearla in un ambito di consensualità e di piacere. Dopotutto non facciamo altro continuamente e non solo per quanto riguarda il BDSM.

Eppure, visti dall’esterno, questi riferimenti non sono così ovvi. Dichiarare, più o meno pubblicamente, che un film horror o splatter sia uno di quelli a cui si fa riferimento, equivale a darsi la proverbiale zappa sui piedi. Chi vuole attaccare la comunità BDSM non aspetta altro di dire “ecco, questi prendono a modello delle scene di violenza, QUINDI sono violenti, perchè cercheranno di replicarle”. Come dar loro torto, se non vengono fornite ulteriori spiegazioni?

Bisogna fare attenzione a quello che si dice e a come lo si dice. Così come molti, se non tutti, prendono le distanze dai romanzi al sapore di BDSM che imperversano dopo il successo di “50 sfumature di grigio” perchè forniscono una visione romanzata, idealizzata, distorta o, nel migliore dei casi, molto superficiale di quello che è il BDSM e di quelle che sono le relazioni D/s, allo stesso tempo bisognerebbe avere lo stesso distacco da film in cui lo scambio di potere o quello di dolore non sono presentati come consensuali.

C’è una bella differenza dal prendere a modello un film come “Secretary” o uno come “Hostel“. E non sto parlando di qualità cinematografica, nè di intensità o crudezza delle scene. Una scena che rappresenta una tortura deve subire una serie notevole di passaggi mentali per poter essere trasformata in una scena BDSM, altrimenti sfocia, quasi sicuramente, in abuso e violenza.

La differenza principale sta, appunto, nella consensualità. Quello che manca a questi film è la possibilità di scelta, da parte di  chi subisce. Manca la sua volontà di accettare di ricevere dolore. Da una parte c’è la finzione e dall’altra la realtà del BDSM.

Da finzione a realtà

Ma allora, cosa impedisce di prendere a modello le scene giornalistiche di vere torture? Perchè le stesse persone che propongono ad un cineforum a tema film “Il portiere di notte” ripudiamo con orrore i documentari sul Nazismo? Come facciamo noi BDSMer a distinguere tra finzione e realtà?

Sicuramente, inconsciamente ci si rende conto che comunque il film è una finzione, che il sangue è fatto di coloranti speciali e le urla di dolore sono parte della recitazione. Questo un po’ ci “deresponsabilizza” e ci fa sentire meno in colpa quando lo si guarda. Non si gode della reale sofferenza altrui, nè si gioisce della reale sopraffazione.

Quello che succede, in realtà, è che la scena in cui la giovane fanciulla di turno viene frustata e torturata con tizzoni ardenti, viene scomposta nelle sue parti fondamentali: l’atto in sè e le motivazioni di quell’atto. Il nostro cervello scarta le motivazioni presentate nel film (o nel libro) e decontestualizza l’atto in sè, riproponendolo nella propria fantasia, come atto da compiersi con il/la nostro partner, che è ben contento/a di esservi partecipe.

Dopotutto, la differenza tra un film porno ed il video di uno stupro non è certo nell’atto della penetrazione.

Però, se noi siamo in grado di scindere le due cose, non è detto che chi ci ascolta, sia in grado di rendersi conto che lo stiamo facendo. E’ importante fare attenzione a dove dite o scrivete queste cose, a chi sono i vostri interlocutori (sia nell’immediato che nel futuro, visto che quello che scrivete oggi sul web potrebbe essere letto da un perfetto sconosciuto tra dei mesi). Altra cosa importante è che più la persona che parla è autorevole, tanto più deve fare attenzione a quello che dice e a come lo dice. Una cavolata detta dall’ultimo arrivato è sicuramente meno “dannosa” di una detta da qualcuno di importante sul proprio sito web, seguito da tante persone.

Tra ambiguità e ambivalenza c’è una bella differenza e non coglierla significa consegnare nelle mani di chi critica il BDSM una serie di ottime leve per manipolare l’opinione pubblica.

Una riflessione a parte riguarda quindi quello che questi libri o film possono insegnare direttamente. Nessuno si sognerebbe di utilizzare la serie CSI come metodo di studio delle tecniche di investigazione, nè ER come compendio per la medicina d’urgenza.

Pensare che un romanzo possa avere la stessa valenza ed utilità didattica di un saggio o una pubblicazione specifica sul BDSM credo sia una delle più grosse bufale mai sentite. E non c’entra la credibilità dell’autore. Certo, è più facile trovare narratori che parlano nei loro romanzi di BDSM pur non avendolo mai provato, ma ci sono anche tanti membri della Comunità BDSM che si sono dilettati nella scrittura di romanzi, ambientati in qualche modo nel mondo BDSM. Alcuni di loro, addirittura, hanno scritto sia dei saggi che dei romanzi, rendendo evidente come sia utile tenere separata la finzione dalla realtà.

Leggete pure tutti i romanzi che volete, ma non prendeteli certo a modello per i comportamenti da seguire in una reale relazione BDSM. La narrativa non fa che presentare un mondo troppo ideale e perfetto e cercare di replicare quel modello finirà sicuramente per creare frustrazioni e delusioni.