Questa riflessione è scaturita da una concomitanza di eventi. I quotidiani aggiornamenti di Google su alcune keywords, mi hanno segnalato un video di DrFatso in cui al punto 2.55 vi è questo interessante scambio di battute:
Intervistatrice: A volte, in qualche film, si vede la donna che si sfila la calza e che con le calze lega i polsi dell’uomo…
DrFatso: E’ una situazione erotica molto forte. Negli anni ’70, nel mio immaginario è rimasta una scena dei classici film gialli: la ragazza viene tramortita… il tizio infila le mani sotto la gonna, gli stacca dal reggicalze le calze e le usa per legarla. Eroticamente è forte. La calza comunque è sbagliata da usare, perché la calza è elastica, quindi se stringo troppo diventa un laccio emostatico e bloccherà la circolazione, se non stringo abbastanza si tira e ci si libera.
La cosa evidente è che ad una domanda che richiama comunque uno scenario di intimità e consensualità (al massimo di pressapochismo per quanto riguarda la scelta dello strumento per legare) fa da contraltare una risposta in cui viene presa a modello una scena in cui è palese la NON CONSENSUALITA’. Una persona tramortita? Secchiata fredda in faccia. Ma come? La stessa persona che sta lì indossando una t-shirt con su scritto “Il bondage non è violenza” sostiene, rivolgendosi ad un pubblico ampio come quello di youtube, che per lui i modelli di riferimento del bondage come pratica BDSM sono quelli dove io tramortisco una donna e poi la lego? E’ chiaro che l’intervistatrice parlava di altro. Come si è arrivati a tirare in ballo una scena di un film poliziesco e questa scena c’entra davvero con il bondage?
Lo scambio di battute nel video mi ha fatto venire in mente quanto letto in passato in un thread di un forum a tema bondage in cui si voleva fare un elenco di film che contenessero scene di bondage. E anche qui i riferimenti erano scene di rapimenti, di torture, di violenze e di una generica NON CONSENSUALITA’. E non importa se il film era una commedia all’italiana, un film drammatico o un noir. Non basta certo che nell’inquadratura vi sia una corda, una manetta o una catena perché lo si possa definire bondage (inteso appunto come pratica erotica, visto che la parola “bondage” in inglese significa letteralmente schiavitù/prigionia e quindi potrebbe essere tranquillamente usata da un anglofono per indicare una scena con una persona incatenata al muro, pur non consensuale).
Nel corso di una discussione sull’argomento avvenuta su Facebook, ormai altro luogo deputato a molti sfoghi e riflessioni anche in ambito BDSM, mi è capitato di andare proprio sul sito di DrFatso (http://www.drfatso.org/) e di trovare una sezione dedicata ai video ed una dedicata ai libri con “scene di bondage”.
E anche qui i riferimenti sono spesso (direi TROPPO spesso) collegati a scene di violenze, rapimenti, sevizie e torture non consensuali e stupri.
Eppure nella home page del sito si parla proprio di SSC (Sano Sicuro e Consensuale), arrivando a dire “Chi si sottomette lo fà perché lo desidera, sapendo che sarà amato proprio per questo. Sa che essere immobilizzata è un modo per essere desiderato e non usato. Non vuole assolutamente essere un modo per offendere. Se non è completamente ed assolutamente bilaterale, non mi interessa“. Un inno alla consensualità, quindi!
Però noto una cosa… poco prima di questa encomiabile frase ne ho notata un’altra che mi ha lasciato comunque perplesso: “Ovviamente la fantasia non può esistere senza situazioni di conflitto. Pertanto alcune delle situazioni potrebbero rappresentare situazioni di pericolo. Ma come al cinema e nei romanzi, nulla sarà reale. Non ci sarà mai pericolo di morte o danni fisici. Ripeto non mi interessano le vittime, ma compagni di gioco e se il compagno non si diverte, la prossima volta non giocherà!”
Ma insomma… c’è pericolo o non c’è pericolo. E’ reale o non è reale? L’ambiguità di queste frasi è ancora più stridente quando si ripensa a fatti di cronaca nera tristemente reali. Non è che da un lato si rischia di sminuire i rischi del fare bondage e dall’altro, allo stesso tempo, si finisce per dare dei modelli molto più pericolosi di quanto il bondage in realtà è? In pratica, non c’è il rischio che se non si fanno dei precisi distinguo, una persona meno esperta possa finire proprio per confondere quanto visto in un film con quello che vuole realizzare nella realtà? Per carità, lungi da me pensare che basti vedere un film (o 10 o 100) contenenti scene violente per diventare persone violente e comportarsi in modo violento! Ma se non altro, la mancanza di chiarezza può essere fonte di insicurezza e di confusione. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Che cosa hanno a che fare le scene elencate su quel sito con il BDSM e il bondage? Per quanto lo si possa fare in modo “duro” o “estremo”, bondage e BDSM si basano, come già detto peraltro a più riprese anche dallo stesso DrFatso, sulla consensualità, consapevolezza e condivisione di quella esperienza. Tutte cose che però, nelle descrizioni di quelle scene, non sembrano affatto essere presenti. Ecco alcune delle descrizioni di queste scene di bondage prese davvero a caso (ma ce ne sono molte altre):
- ASSO DI PICCHE OPERAZIONE CONTROSPIONAGGIO – regia di Nick Nostro, 1966.
Hélène Chanel incatenata ad un muro. - BLACK KILLER – regia di Lucky Moore (Carlo Croccolo), 1971.
Lo stupro di gruppo di una ragazza indiana. - BLACKJACK – regia di Gianfranco Baldanello, 1968.
Lo stupro di Estelle e Julie rapita. - DELIRIO CALDO – regia di Ralph Brown (alias Renato Polselli), 1972.
Rita Calderoni nuda con una catena al collo. - DIECI BIANCHI UCCISI DA UN PICCOLO – regia di Gianfranco Baldanello, 1974. Lo stupro di un’indiana.
- DIO NON PAGA IL SABATO – regia di Amerigo Anton (Tanio Boccia), 1968.
Scena di fustigazione che vede una giovane messicana seminuda fremere sotto la frusta di Alan Steel. - EXECUTION – regia di Domenico Paolella, 1968.
Le sevizie inflitte alla protagonista femminile (Rita Klein, che mostra il seno nudo) da parte di alcuni Messicani. - I QUATTRO DELL’APOCALISSE – regia di Lucio Fulci, 1975.
Bunny, dopo essere stata legata, viene violentata dal bandito Chaco (Tomas Milian). - LA BELVA – regia di Mario Costa, 1970.
Johnny (Klaus Kinski), il protagonista, spia, molesta e tenta di violentare tutte le donne (sempre belle e sensuali) che incontra.
La stragrande maggioranza dei film elencati risale agli anni ’60 e ’70 e mischiano scene di prigionia a situazioni di pura e semplice violenza (es. gli stupri) che, anche sforzandosi al massimo, proprio non riesco ad associare nè al bondage nè al BDSM. Sono film di un periodo storico in cui in giro per il mondo vi era un’attenzione sempre maggiore per la sessualità e le sue forme anche estreme. Di certo un periodo che ha contribuito a costruire il nostro modo di concepire il sesso e che ha aperto la strada a varie esplorazioni artistiche, di cui il cinema era solo una delle possibilità.
Ma basta questo a prenderli come modelli per pratiche BDSM anche oggi, nel 2012?
Certo, dirai tu caro lettore, nel panorama del bondage occidentale esiste un filone anche ben nutrito di appassionati di Damsel in Distress (la damigella in pericolo), con la scena tipica della casalinga americana sola in casa, sorpresa, imbavagliata e imprigionata dal topo di appartamento di turno. E qui i riferimenti culturali della damigella in pericolo possono risalire indietro di secoli, ai miti greci (a partire da Perseo e Andromeda e forse anche prima).
Anche nel bondage giapponese, le gesta epiche per liberare la giovane donna catturata dall’anti-eroe raccontate dal teatro kabuki hanno chiaramente ispirato il kinbaku moderno. Ma mentre nelle gesta epiche l’accento è posto sull’eroe che libera la malcapitata di turno, nel Damsel in Distress avviene il contrario, quando la storia si concentra sull’imprigionamento della donna. Avviene così anche per il bondage giapponese? Oggi come oggi no. Ma all’inizio del XX secolo fu attuata da Itoh Seiyu una ricerca stilistica e tecnica proprio sull’hojojutsu (l’arte marziale che prevede l’uso delle corde per immobilizzare l’avversario) del periodo Edo e sui suoi utilizzi come forma di cattura (hayanawa) e di prigionia (onnawa), che ha poi largamente influenzato personaggi come John Willie e Irwin Klaw, padri degli scenari “classici” del damsel in distress. Ma quello era appunto un periodo di pionieri, dove si creava senza avere riferimenti precisi, dove si doveva utilizzare quel poco che si aveva a disposizione e dove (ad esempio negli Stati Uniti del secondo dopoguerra), la figura della giovane donna sola e indifesa (magari con il marito impegnato al fronte) era un’immaginario con cui tutti, chi più chi meno, si erano confrontati dopo due guerre mondiali e a cui Willie e Klaw hanno sicuramente attinto con facilità. Quello della prima metà del XX secolo era anche un mondo sicuramente più duro e brutale e forse l’essere legati e immobilizzati era un destino decisamente più favorevole rispetto a qualunque altra possibilità in caso di aggressione. La consensualità nelle pratiche erotiche era ancora, così come nella vita di coppia tradizionale un concetto aleatorio, vista l’esistenza della figura del padre padrone, i matrimoni combinati e tutto il resto. (per un approfondimento sulla storia del bondage giapponese si veda http://www.scuoladibondage.it/storia-kinbaku/)
Perché quindi, ancora oggi, nonostante lo sviluppo immenso del mondo BDSM e del bondage a livello planetario dai suoi stentati albori, non riusciamo a cambiare i modelli di riferimento? Perchè si continua a dire che le scene di riferimento tipiche sono quelle che nessun praticante di bondage o BDSM si sognerebbe davvero di realizzare perchè non consensuali?
Evidentemente stiamo sbagliando a livello generale come comunità BDSM intera se una persona di spicco (per essere stato tra i primi a parlarne apertamente ed essere stato un punto di riferimento per un’intera generazione a seguire) del panorama bondage italiano come DrFatso non si accorge di questa “trappola” e se nessuno glielo fa notare pur avendolo già verificato in prima persona.
Pur non volendo entrare nel dettaglio delle scelte intime di ognuno per quanto riguarda quello che troviamo eccitante, di sicuro sbagliamo se questi sono i modelli che presentiamo ad un pubblico generico, non preparato e quindi non capace di fare delle opportune distinzioni.
Nessuno può vietare a qualcuno di trovare erotiche quelle scene nel suo immaginario privato (comunque razionalmente sappiamo che stiamo guardando scene di un film e non situazioni “reali” di stupri), ma credo che chi si ponga come punto di riferimento debba prestare molta, ma molta più attenzione al modo in cui parla ad un pubblico generico.
Le pagine scritte sul sito risalgono a molti anni fa, ma da allora non sembrano essere cambiate granché Per fare un’analogia è un po’ come una soffitta impolverata in cui si continua ad aggiungere roba ma in cui nessuno vuole perdere tempo a vedere se c’è qualcosa da buttare o sostituire. Che quelle pagine siano state scritte da un giovane DrFatso, appena uscito dal guscio e con un mix di esaltazione pionieristica e gusto naif ci sta tutto. Che a quei tempi le modalità di confronto e le possibilità di verifica delle fonti fossero frammentarie è un dato di fatto. Entrambe queste ragioni potevano essere delle giustificazioni valide nei primi anni del nuovo millennio, ma da questo a dire che, oltre una decade dopo, quelle pagine abbiano la pretesa di essere prese come riferimento, direi che ce ne passa.
Oggi come oggi però internet e la rete sono diventate molto di più. I siti dove acquisire informazioni si sono centuplicati e gli errori di gioventù vanno corretti se si vuole stare al passo con i tempi. Il mondo del bondage e BDSM non è rimasto al palo.
Leggere che una delle scene descritte qui sopra viene considerata oggi un riferimento culturale rischia di essere una zavorra pesante per l’evoluzione del BDSM e del bondage agli occhi dell’uomo della strada, tenendoci ancorati ad una idea di sessualità tipica degli anni ’60 appunto, se non ancora più arretrata.