Your kink is not my kink but your kink is ok

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calimeroForse molti di voi non hanno mai sentito l’espressione racchiusa nel titolo. E’ una frase molto comune negli ambienti BDSM e che vuol dire sostanzialmente “Le tue perversioni non sono le mie, ma vanno comunque bene“.
Potrà sembrare una frase banale, ma racchiude in sè una filosofia del modo di approcciare al BDSM che viene presa con la stessa serietà del SSC o del RACK in molte comunità in giro per il mondo.
Quello che spesso succede, infatti, è che non ci si renda conto che il BDSM è qualcosa di estremamente difficile da definire e da spiegare. Al suo interno si trovano racchiuse (a volte standoci anche un tantino strette) tantissime pratiche a volte molto diverse tra loro, con la conseguenza che, istintivamente, si tende a creare una scala di valori basata unicamente su quelle che sono le nostre preferenze.

Ecco quindi gli amanti dello shibari che denigrano chi utilizza le catene, gli spanker che sghignazzano quando parlano di crossdresser, fino ad arrivare a chi è appassionato di pratiche davvero di nicchia, che il più delle volte finiscono per essere messi alla berlina un po’ da tutti (e no, non in modo consensuale…). I Calimeri del BDSM.

Questo comportamento è tanto deleterio quanto infantile, secondo il mio punto di vista. Eppure è veramente difficile da eradicare e in altri paesi vengono spesi fiumi di inchiostro e di bit per cercare di educare la comunità ad una maggiore sensibilità ed empatia nei confronti di tutti, soprattutto nei confronti proprio delle minoranze all’interno delle minoranze.

Quando si parla di BDSM, uno dei valori principali che gli vengono associati è il rispetto. Rispetto per la sub/slave che dona il suo corpo ed i suoi sentimenti. Rispetto per il Dom che si fa carico di una grande responsabilità. Rispetto ovunque…
Almeno così sembra ad una prima occhiata. Ma allora perchè non si rispettano anche le persone che amano cose diverse da quelle che piacciono a noi? Perchè sentiamo il bisogno di stabilire una scala di valori e mettere una distanza tra quello che facciamo “noi” e quello che fanno “loro”? Come ho detto prima, spesso si tratta di un comportamento che oso definire “istintivo”. L’uomo è un animale sociale, vive in gruppi, in branchi ed una delle principali regole per la sopravvivenza di un gruppo è quello di difendersi da tutto quello che è diverso.
Si sta con i propri simili, perchè questo è un meccanismo atavico di difesa che ha funzionato per millenni ed è un meccanismo sociale che continuiamo a ripetere ancora oggi. Noi abbiamo quasi un bisogno innato di crearci una nicchia, di avere un ambiente omogeneo… Dopotutto, avete mai visto un branco formato da più animali di specie diverse?

Mi capita spesso di vedere commenti denigratori, risate e risatine riguardanti questa o quella pratica, fino ad arrivare addirittura ai vari “ma tu sei malato se fai una cosa del genere” che, detto da qualcuno che a sua volta è giudicato malato dalla maggioranza della popolazione, fa davvero ridere. Il bue che dice cornuto al toro, mentre entrambi si avviano al macello… i capponi di Don Abbondio che litigano e si beccano tra loro, pur uniti dallo stesso triste destino. Insomma, un gran bel casino!!

Ma se ci soffermiamo ad analizzare ancora più a fondo la questione, viene da chiedersi come mai si passi dal rifiutare una determinata pratica, al bisogno di ridicolizzarla, direi quasi di “esorcizzarla” con le risate.
Certo Bakunin diceva “Una risata vi seppellirà”, ma non credo che si riferisse a questo genere di situazioni.
Quando cerco di spiegare perchè non va bene prendere in giro chi ama un’altra pratica, per quanto insolita e bizzarra possa sembrare, spesso mi si risponde dicendo che “sono troppo serio”, che “in fondo non si sta facendo nulla di male, solo ridendo un po’” e che “anche altri trovano divertente la cosa”.
Eppure queste risposte mi preoccupano e mi fanno riflettere. Qual è il limite tra la satira, lo scherno ed il bullismo anche in ambito BDSM? Quand’è che si passa il limite e si smette di essere divertenti e si diventa -magari inconsapevolmente- offensivi? Quando c’è bisogno di tracciare la linea tra il politically correct e il non correct?
Come spesso mi succede, io sto dalla parte dei più deboli, di quelli che non hanno voce e forza per opporsi. Io parto dal presupposto che un’offesa non va misurata con le intenzioni di chi la attua, ma con la sensibilità di chi la subisce. Se io chiamo una persona “cicciona”, “quattrocchi” etc… sto marcando dei difetti fisici oggettivi, ma il fatto che siano oggettivi o il fatto che “per me” siano solo delle “battute scherzose”, non significa che il sentirseli rimarcare in quel modo non risulti doloroso od offensivo per quella persona. Stessa cosa se dico che un amante dello scat o del balloon fetish è un pervertito, mentre chi ama il bondage o lo spanking non solo non lo è, ma è anche un gran figo. Ci sono persone che sono disposte a ridere dei propri difetti (anche se sospetto che per alcuni questa sia una tattica di “attaccare per primi” per limitare i danni), ma qui non si parla di autoironia. Si parla di prendere in giro. Sono due cose molto, molto diverse.

Educare (ed educarsi) alla diversità non è semplice, proprio perchè ci viene naturale fare esattamente il contrario. Ma non sempre quello che ci viene naturale fare è la cosa più giusta da fare.
“Your kink is not my kink, but your kink is ok” dovrebbe diventare una sorta di mantra per tutti noi. Un modo per capire che la mancanza di coesione ci rende deboli ed attacabili. Che fino a quando chi fa bondage non difenderà chi è appassionato di diaper fetish e viceversa, saremo sempre a rischio di essere derisi, isolati e mobbizzati, perchè siamo e resteremo comunque una minoranza.

Fino a quando si continuerà a prendere parte agli scherni e alle risate di gruppo (proprio come succede nei “branchi” dei bulli) anzichè prendersi la responsabilità di pensare con la propria testa e dire apertamente “Questo non è giusto!” la situazione non cambierà di molto.

Diceva Jiddu Krishnamurti: “La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare”.