Stonewall è l’inizio di tutto quello che è il movimento di lotta per i diritti LGBT e anche degli altri “stili di vita alternativi”. Compreso il BDSM. Non mi stancherò mai di ricordare come tante delle libertà di cui “noi” BDSMer godiamo, siano frutto delle lotte politiche (ma spesso anche sul campo) delle comunità gay nel corso degli ultimi 40 anni. Sapere quali sono le nostre radici (il BDSM è nato all’interno dei movimenti leather gay) e come siamo arrivati ad oggi, è un dovere per tutti quelli che vogliono vivere il BDSM in modo consapevole.
Gli antefatti
Lo Stonewall Inn era, ed è ancora, un locale situato in Christopher street a New York, in un’area frequentata da gay, lesbiche e drag queen. Negli anni ’60 essere gay era considerato una malattia ed era vietato per i gay riunirsi e bere alcoolici. I raid nei locali e ritrovi erano all’ordine del giorno, così come i pestaggi da parte dei poliziotti. Nella seconda metà degli anni ’60, sulla spinta delle correnti omofile, vi erano stati una serie di segnali distensivi. Questi segnali avevano allentato un po’ la morsa nei controlli e la discrezionalità degli arresti.
Nonostante questo, il clima non poteva essere certo considerato “tollerante”. Lo Stonewall forniva un ottimo pretesto per un intervento perchè privo di licenze per alcoolici, collegato alla malavita e aveva giovani go-go boys come attrazione. Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, quando la polizia irruppe nel locale per effettuare arresti e controlli, qualcosa scattò.
Le motivazioni della rivolta
Capire i motivi che trasformarono una delle tante retate in una miccia esplosiva non sono ben chiari.
Da un lato c’è il fatto che i tempi stavano maturando per una rivolta di questo tipo. Si era subito dopo la protesta del ’68 ed imperversava anche quella contro il Vietnam a cui avevano partecipato molti di quegli stessi gay che frequentavano Stonewall. Le minoranze non erano più solo minoranze passive. Non è un caso che il motto di Stonewall fu “Gay power” che ricorda molto quel “Black power” diventato iconico durante i giochi olimpici del ’68. Quindi la “rivolta di Stonewall” fu in qualche modo una reazione “politica” frutto dei tempi maturi.

Un secondo motivo, questa volta di origine emotiva, fu il fatto che a fine giugno del ’69 morì Judy Garland. Era un’icona della cultura gay di quegli anni e i suoi funerali avvenuti il giorno prima della retata videro la partecipazione oceanica di tantissimi gay. Gli stessi che poi, ancora emotivamente provati, reagirono sull’onda di quella sofferenza all’ennesima sopraffazione della polizia.
L’onda lunga di Stonewall
Senza entrare nei dettagli, quasi da gossip, di chi e come iniziò materialmente la rivolta (Sylvia Rivera? una lesbica non identicata? Lanciando una bottiglia o una scarpa?) che cosa comportò esattamente la rivolta di Stonewall?
Dopo poche settimane era già nato il Gay Liberation Front (GLF), che si diffuse in pochi mesi nelle maggiori città ed università. Da lì arrivò poi anche in altre nazioni con la creazione di movimenti analoghi (in Italia questo avvenne solo nel 1971).
Nel giugno del 1970 il GLF organizzò una marcia a New York per commemorare i moti di Stonewall e questa è anche la ragione per cui in tutto il mondo le celebrazioni per ricordare quegli eventi e la lotta per i diritti della comunità GLBT si svolgono alla fine di giugno.
Stonewall, il film di Emmerich
Pochi giorni fa mi è capitato di vedere il film del 2015, che ha sullo sfondo della storia principale, proprio quel periodo storico. Non si tratta di un docufilm, ovvero non vuole essere una ricostruzione storica (più o meno verosimile) dei fatti, quando una storia romantica di scoperta ed accettazione di sè di un giovane ragazzo gay proveniente dall’Indiana (uno stato rurale e conservatore). Il film è piacevole, gli interpreti sono molto ben azzeccati e la regia di Roland Emmerich (per intenderci, quello che in passato ha diretto, tra gli altri, film come Stargate ed Independence Day) fa la sua parte. Di certo è particolare la scelta di avere come protagonista un “bravo ragazzo bianco” che si trova ad essere scacciato di casa e a rifugiarsi in una nuova famiglia, quella dei ragazzi di strada, che si prostituiscono nei vicoli e locali, quelli senza nulla da perdere (e che sono quelli che davvero diedero vita alla rivolta), ma che non è mai davvero uno di loro. Un modo un po’ ruffiano per rendere il film più “accettabile” al grande pubblico, gay o non gay.