Come ogni anno, da qualche tempo a questa parte, ho partecipato al Roma Pride insieme ad altre tante migliaia di persone e come già successo in passato, all’indomani, ci sono state varie critiche sull’opportunità per la comunità BDSM italiana di partecipare ad un evento prevalentemente gay.
Il primo macroscopico errore è quello di considerare il Roma Pride un evento ESCLUSIVAMENTE gay, che protesti e lo solo ed unicamente per il diritto della comunità GLBT di ottenere la parità riguardo ad alcuni diritti di civili come il matrimonio. Nulla è più lontano dal vero, in quanto, ormai da anni, questa manifestazione non si chiama più Gay Pride, ma soltanto Roma Pride, proprio perché al suo interno racchiude la lotta alla difesa dei diritti civili e, più genericamente, della libertà identità e di espressione. Infatti alla manifestazione partecipano, fianco a fianco, le associazioni GLBT ma anche i sindacati (o perlomeno alcuni), organizzazioni internazionali come Amnesty International ed una miriade di piccole associazioni o gruppi che magari non hanno un diretto legame con l’essere gay.
La principale obiezione che viene fatta da chi non considera opportuna la partecipazione della comunità BDSM al Roma Pride è che “noi” non siamo discriminati, visto che possiamo sposarci liberamente. Mi chiedo: ma davvero per queste persone tutto si concentra intorno alla possibilità o meno di contrarre un matrimonio? E solo questa, per loro, l’unica forma di discriminazione con cui la comunità BDSM deve confrontarsi? Ovviamente, per me, la risposta a queste domande è un secco no.
La trappola mentale in cui cadono le persone che fanno questo genere di obiezioni è quella tipica che si auto convince di non essere discriminato semplicemente perché riesce a nascondersi, omologarsi e mimetizzarsi con la “maggioranza”. In questo caso, infatti, la falsa sicurezza è data non dall’effettiva accettazione delle pratiche BDSM da parte della società, ma semplicemente dal fatto che queste pratiche non sono altrettanto “visibili”. Queste persone non si accorgono però di quanto la situazione sia grave, perché il dover nascondere qualcosa per essere sicuri di non essere molestati o discriminati espone le singole persone ad umoristico altissimo di essere vittima di soprusi, anzi, di veri propri abusi e ricatti nel momento in cui queste passioni dovessero essere scoperte.
È chiaro che non siamo vittime di una crociata anti-BDSM proprio perché chi fa BDSM non è facilmente identificabile in mezzo ad una folla, ma la discriminazione viene fuori in tutta la sua drammaticità nel momento in cui le nostre passioni preferenze in ambito sessuale vengono rivelate. Nascondersi, tenere un profilo basso, mimetizzarsi non sono sinonimi di libertà e di accettazione. Questi comportamenti, infatti, isolano e rendono le singole persone estremamente indifese. Immaginiamo infatti cosa potrebbe succedere, nello scenario attuale, ad una persona che ha un lavoro all’interno di un’azienda, di un’istituzione o anche soltanto considerando il suo ambito strettamente familiare, se la sua passione per fruste, corde o tacchi alti dovesse essere rivelata. Tutto si rimetterebbe all’eventuale apertura mentale di colleghi, amici e familiari, in quanto non si sarebbe la certezza di venire accettati ed in queste situazioni non sono stati rari i casi in cui persone abbiano perso il posto di lavoro o abbiano avuto problemi per la custodia dei figli in una causa di separazione.
Come si fa, quindi, a sostenere che la comunità BDSM non è vittima di discriminazione? Potremo dire che non siamo discriminati nel momento in cui chiunque potrà scegliere di parlare liberamente delle proprie pulsioni a chiunque altro, senza doverne temere la reazione. Il Roma Pride è una manifestazione in cui chi vuole, o meglio, chi può esporsi nei confronti del mondo esterno (le manifestazioni come questa attirano l’attenzione e la curiosità dei media e del resto della popolazione e quindi la probabilità di essere fotografata ripresi per poi essere pubblicati su giornali, riviste o notiziari televisivi non è affatto trascurabile), vuole presentarsi ad esso senza più maschere e senza nascondigli. È un momento di presa di consapevolezza, di “orgoglio” appunto, in cui si trova la forza e il coraggio di dire a tutti “io sono così“. L’orgoglio di mostrarsi per quello che si è davvero è il cemento che unisce tutti sotto un unico cielo durante il Roma Pride e, almeno per un giorno, si può non aver paura di essere discriminati proprio perché non si è più da soli.
E questo, già da solo, è un motivo sufficiente per partecipare al Roma Pride.